Dopo una fase di oblio sta riprendendo quota la questione della riforma del sistema di classificazione professionale nel settore pubblico. Era ora. Con l’Aran avevamo iniziato a discuterne per il comparto Funzioni Centrali a seguito alla firma del CCNL 2016-2018. Poi però tutto si fermò e ci chiediamo ancora perché. Un’idea ce la siamo fatta: una riforma di questa portata non sarebbe stata a costo zero. E forse l’Aran non se la sentiva di ripetere il solito ritornello: non ci sono soldi.

Ma il tempo è galantuomo e oggi occorre una profonda revisione del sistema di inquadramento del personale e dei criteri di ridefinizione dei profili professionali perché la macchina dello Stato non può pensare di affrontare le sfide che l’attendono con il sistema del “mansionismo” ereditato dagli anni ‘70 e ‘80. E proprio con la pandemia abbiamo tutti toccato con mano di quanto ci sia bisogno di una p.a. efficiente.

Per questo motivo vanno allestite quelle catene di valore in funzione e per effetto delle quali le singole amministrazioni siano interconnesse e in grado di interagire in tempo reale grazie alla Rete. Ciò comporta un enorme sforzo di re-profiling del personale così come è stato fatto in alcuni settori del privato. Per esempio nelle telecomunicazioni e nell’industria metalmeccanica.

Anche nel settore pubblico riscrivere i profili significa trovare l’equazione fra inquadramento professionale e nuova organizzazione del lavoro. Non si parte da zero. Da parecchio tempo nella p.a. il lavoro è già cambiato, sta continuando a cambiare. Ma le attuali declaratorie sono vecchie di quasi 25 anni e non permettono di governare le trasformazioni già avvenute in termini di flessibilità e carichi di lavoro.

È proprio per questo motivo che il sindacato non vede l’ora di affrontare il problema: c’è una situazione da sanare. La si sana in due modi: 1) con un ordinamento liberato da anacronistici paletti normativi e tortuose procedure burocratiche; 2) con un meccanismo di progressioni economiche che consenta di agganciare in modo dinamico la qualità della prestazione al livello retributivo. 

C’è anche una mentalità da cambiare. Finora i lavoratori sono stati considerati un costo: è arrivato il momento di considerarli un investimento. Perciò non ci si venga a ripetere che non ci sono soldi o che sono pochi. Si cambi prospettiva: i lavoratori costituiscono il fattore umano che fa funzionare ogni cosa (macchine comprese).

Vogliamo davvero realizzare la riforma delle declaratorie professionali? Il sindacato è il primo a volerla ed è pronto a riaprire la trattativa. Ma dall’altra parte si astengano i perditempo.

Sandro Colombi, Segretario Generale Uilpa

Roma, 24 febbraio 2021