Sarà perché ci sono in ballo tanti soldi, ma il PNRR (Piano Nazionale di presa e Resilienza) è diventato un oggetto di moda. E in quanto tale soggetto a interventi finalizzati alla sua buona riuscita. L’ultimo è il Rapporto 2022 del “Comitato scientifico per la valutazione dell’impatto delle riforme in materia di capitale umano pubblico”, presentato il 20 settembre scorso.

Come al solito il sindacato è stato escluso mentre politici e sapienti parlano solo tra loro chiusi in palazzi sospesi tra le nuvole. Probabilmente il Governo dei Migliori non ci ha ritenuti all’altezza di interloquire con illustri professori, stimati professionisti ed esperti conclamati. Comprendiamo: la plebe va tenuta fuori dalla porta.

Eppure anche la plebe avrebbe potuto essere utile. Come? Ad esempio, facendo risparmiare parecchio tempo al Comitato in ricerche retrospettive sulla distruzione del lavoro pubblico in Italia perseguita da oltre vent’anni a questa parte.

Gliel’avremmo fornita noi la fotografia del disastro che ha combinato la classe dirigente di questo Paese grazie agli innumerevoli cantieri di riforma della P.A. senza riuscire a chiuderne nemmeno uno. Sono anni che commentiamo i report della Ragioneria Generale dello Stato e dell’ARAN da cui si evince il tracollo demografico, professionale ed organizzativo delle amministrazioni centrali e locali. Guarda caso, proprio quelle su cui oggi la medesima classe dirigente scarica le responsabilità per l’attuazione dei progetti legati all’erogazione delle risorse del Recovery Fund.

Forse è per questo che la parte più interessante del documento è quella conclusiva, dove si cerca di tirare le somme rispetto all’impatto che le riforme del PNRR hanno avuto (e avranno) sui dipendenti pubblici. Se per il rilancio del lavoro pubblico si punta tutto sulla semplificazione dei concorsi e sulla riforma delle competenze, allora qualcosa non torna. Ma davvero siamo convinti che i concorsi veloci basati sui quiz a crocette possono essere definiti “processi di selezione maggiormente incentrati sull’accertamento e la valutazione delle competenze professionali dei candidati”? Davvero qualcuno crede che raccogliendo e analizzando i “casi di buone implementazioni della riforma presenti nei diversi enti” si realizzerà la “disseminazione dell’innovazione amministrativa dal basso”?

Torniamo con i piedi per terra. Ciò di cui ha bisogna la P.A. italiana non è un “set sintetico di indicatori quantitativi e qualitativi per lo sviluppo del pubblico impiego, in termini sia numerici e anagrafici sia di competenze acquisite”. Sono più di quarant’anni che si raccomanda la definizione degli indicatori. Ne parlava già la riforma Giannini nel 1979 e ancora non li abbiamo trovati. Forse saranno in qualche ampolla nascosta sulla luna.

E non sarà nemmeno il mitico portale del PIAO (Piano integrato di attività e organizzazione) a mettere ordine nella confusione che regna sovrana in materia di pianificazione delle attività delle amministrazioni. A meno che l’obiettivo del monitoraggio sugli effetti del PNRR sia quello di contare il numero di pagine dei documenti programmatici prodotti ogni anno dall’apparato amministrativo, magari col costosissimo aiuto di consulenti esterni.

Invece di pensare alle “road map” per definire modelli di “competenze trasversali” del personale, sarebbe più utile avviare una seria ricerca sui carichi di lavoro negli uffici a causa del cattivo utilizzo delle poche risorse umane disponibili e, soprattutto, della pessima organizzazione del lavoro che rende i processi lenti farraginosi e dispersivi; conseguenza inevitabile di un’organizzazione incentrata sulla logica dell’adempimento formale della norma e sulla sistematica esclusione del sindacato dai momenti decisionali.

Ma la plebe è caparbia, si sa. Ed ecco che offriamo gratis alla politica un elenco di problemi concreti da risolvere per rendere sul serio efficace e efficiente la P.A.:

  • retribuzioni in grado di assicurare alle persone una vera autonomia

esistenziale;

  • prospettive di carriera sganciate da logiche opportunistiche e clientelari;
  • modelli organizzativi orizzontali e non più verticali;
  • partecipazione attiva dei lavoratori alla definizione degli obiettivi e delle strategie;
  • valorizzazione in chiave etico-sociale del lavoro al servizio della collettività.

Certo, risolvere questi problemi significherebbe un altolà al rapporto perverso tra politica e consulenti perché questi ultimi dovrebbero dare prova di conoscenza della condizione del pubblico impiego e dovrebbero presentare proposte concrete. Invece conviene arzigogolare su target e milestone, piuttosto che guardare la P.A. per quello che è realmente.

Sandro Colombi, Segretario generale UIL Pubblica Amministrazione

Roma, 26 settembre 2022