Le norme assurde e discriminanti sull’erogazione del trattamento di fine rapporto ai dipendenti pubblici sono un esempio tipico di come la politica considera il lavoro dei dipendenti dello Stato nell’era del neoliberismo sfrenato. Tutto ciò che rientra fra le voci di spesa per le retribuzioni lavoratori pubblici (compresa la retribuzione differita) è visto, sostanzialmente, come uno spreco di risorse che potrebbero essere destinate ad altri obiettivi di certo più graditi al sistema industriale.
Più volte abbiamo denunciato l’ingiusta norma che ritarda l’erogazione del TFR/TFS ai dipendenti delle pubbliche amministrazioni e la spezza in più tranches. In certi casi il ritardo può arrivare fino a sette anni dal giorno del pensionamento. E siccome in genere al danno si aggiunge la beffa, abbiamo più volte denunciato anche il perverso meccanismo che consente ai dipendenti pubblici di richiedere un anticipo della propria liquidazione (cioè, dei propri soldi accantonati presso un ente pubblico) attraverso gli istituti di credito, ovviamente pagandoci sopra un congruo interesse. Il che equivale a dire che quando i lavoratori hanno necessità di disporre dei propri soldi, che si trovano già nelle casse dello Stato, li devono chiedere in prestito alle banche, a cui devono restituirli maggiorati di poco o di tanto come inflazione comanda.
Tutti ripetono che la protesta del sindacato su questo tema è sacrosanta, ma nessuno fa niente. Anzi no, qualcuno in effetti interviene. Ma non è detto che le toppe siano sempre meglio del buco.
È di questi giorni la notizia che dal 1° febbraio 2023 l’INPS concederà a domanda l’anticipo della liquidazione agli statali ad un tasso di interesse dell’1% più uno 0,5% di spese. Bene. Anche perché il tasso di interesse oggi richiesto dalle banche è nettamente superiore. Peccato che queste risorse provengano dagli accantonamenti del Fondo Credito INPS, finanziato con i contributi degli stessi lavoratori pubblici attraverso una trattenuta in busta paga dello 0,35%.
In pratica, con questo sistema gli statali contribuiscono due volte alla propria buonuscita: con gli accantonamenti della loro intera vita lavorativa e con le trattenute per il Fondo Credito, che in realtà serve per finanziare interventi di welfare. E che ovviamente da febbraio 2023 avrà meno risorse a disposizione per le sue finalità.
Se qualcuno ci spiega dov’è la logica di questo meccanismo, gliene saremmo davvero grati. Così come qualcuno dovrebbe spiegarci dove sia la logica di chiedere ai lavoratori di corrispondere un interesse dell’1%, quasi che l’INPS avesse necessità di coprire qualche forma di rischio. Ma non si tratta di risorse che lo stesso Istituto già possiede, seppure in un altro conto?
Ma d’altronde, da una normativa a monte (quella sul differimento del TFR/TFS) che si può definire solamente iniqua non possono che discendere provvedimenti pieni di incertezze e di contraddizioni. Anche quando magari sono – come in questo caso - animati dalle migliori intenzioni.
Sandro Colombi, Segretario generale UIL Pubblica Amministrazione
Roma, 15 novembre 2022